La scorsa settimana tre persone che non conoscevo e con cui
scambiavo due chiacchiere a tempo perso – il barista, una collega in seduta di
laurea e una commessa –, quando mi hanno sentito dire che ho una figlia, hanno
sgranato gli occhi e commentato “Ma sei già mamma?”.
Ora. Io ho trentadue anni. Mi lusinga l’idea di dimostrarne
di meno, ma, come dire, si vede che sono ampiamente maggiorenne. Anzi, sono in
quella lunga, sottile linea d’ombra in cui nel giro di 5 minuti qualcuno mi
chiama signora e qualcun altro mi definisce “quella ragazza”.
Quindi, il loro stupore mi ha stupito. Perché ha fatto tanto
effetto? Avranno pensato che sono una ragazza madre? Poi ci ho pensato un po', e ho capito.
Il barista lavora vicino all’Università, vede tanti
professori e sa come funziona il mondo accademico, quali sono i tempi e le difficoltà di avere un posto non precario lì dentro.
Infatti la mia collega, subito dopo aver saputo che ho una figlia
mi ha chiesto “ Ma sei ricercatrice?” (Versione accademica di “hai il posto
fisso?”).
La risposta è no. Sono precaria, ho la data di scadenza come i
formaggini. Esattamente come questa collega, qualche anno più grande di me,che
ha un fidanzato a 1000 km con cui rimanda la convivenza perché “aspetta di
sistemarsi”. Lungi da me giudicare eh. Dico solo che nel mio ambiente la
normalità è questa, aspettare “il posto” e nel frattempo stare in standby. Io forse sono stata un po’ incosciente ad avere una figlia con la sola tutela del
congedo obbligatorio retribuito dall’INPS (se vi dico la somma vi mettete a
ridere) , lo stipendio di Marito e la paghetta una tantum dell’Università . E sono molto felice di non aver
aspettato.
Perché la vita è una sola, perché la gioia di avere una bambina
vispa e bella e affettuosa (e che dorme seduta, ma questa è un’altra storia)
per me non è paragonabile a nessun fetentissimo posto accademico.
Perché
secondo me mi porta pure bene, la mia bambina, visto che dopo averla avuta ho
inaspettatamente migliorato la mia condizione lavorativa - sempre precaria, ma pagata il doppio per
fare le stesse cose - .
Perché anche se capita di avere in una giornata più ore
di lezione che di sonno poi mi sento chiamare mamma e mi sciolgo come una pera
cotta perché nessun “caaarissssima” o “professoreeeeessa” regge il confronto.
Perché da quando c’è lei vado in quel simpatico nido di vipere che è il mio
dipartimento con leggerezza, perché mi sento una marcia in più.
Quindi, caro barista, caaarissssima collega, mi dispiace che
vi stupiate di una – giovanile, intendiamoci
– trentaduenne con prole, perché vuol dire che nel nostro sistema c’è qualcosa che non va. Vi auguro di stupirivi per cose per cui vale
davvero la pena: il successo di Fabio Volo, il ritorno del frisé, le polpette
di renna.
Quanto a te invece, commessa che ti stupisci che io abbia una figlia: certo
che con questo tatto ne farai di carriera alla Prenatal dove ti ho incontrato.